Nella VI domenica del tempo di Pasqua la Chiesa incalza con la lettura del vangelo di Giovanni, continuando con il discorso di Gesù sull’amore che prende forma attraverso l’ascolto e il supporto dello Spirito, affinché la pace diventi un’azione performante.
Così ripercorriamo la settimana appena trascorsa, provando a sintetizzare le suggestioni di questi giorni di resurrezione, consapevoli della complessità che si crea quando si forza l’ingresso di eventi drammatici in spazi di gioia ritagliati in più occasioni.
La lettura del vangelo sembra delineare una proposta che passa attraverso un percorso a tappe: ascoltare, insegnare, accogliere la pace. Una pace che il mondo non conosce più e che, di conseguenza, è incapace di offrire a chi tende la mano verso il suo carnefice.
Penso alle immagini di queste ultime ore, che arrivano da Gaza più per spettacolarizzare l’informazione che per scuotere le coscienze. Ma anche ai messaggi giustamente incastrati nella cornice di uno spettacolo, in diretta da Assisi, che non vuole solo intrattenere, ma anche accendere i riflettori sui luoghi dimenticati della terra, dove toccare con mano la missione della Chiesa.
La mente vola alla festa di venerdì sera e seleziona un primo fermo immagine: tra le bandiere azzurre sventolate in segno di vittoria, si notano i colori della Palestina, come a dire che se stiamo festeggiando il riscatto di una città, abbiamo forse vinto una battaglia, ma stiamo perdendo la … pace!
Se i rapporti tra noi sono resi tossici da un amore conflittuale è perché abbiamo perso la pace interiore, prima ancora che quella esteriore. Quando una persona si chiude all’amore, in realtà sta manifestando un conflitto interiore che si nutre dell’assenza dell’altro, soffocando un sentimento che, in tempi di pace, era sincero.
Si fa festa, ma abbassiamo il volume
La festa continua, ma bisognerebbe abbassare il volume, perché qualcuno dorme. Più di centomila persone si riversano nel cuore di Napoli, occupano piazza plebiscito, la fontana del “carciofo”, la galleria … e lì, ecco che per una sera, viene turbato il sonno di quel barbone che, non curante del mondo che gli passa accanto, si rende invisibile sotto le coperte, se non fosse per quei piedi storti a testimoniare che, tra quegli stracci, c’è un essere umano. Mi chiedo come possa far finta di nulla, sicuramente sveglio in quel ‘caos’, immobile, con la testa coperta, a voler nascondere quella pazzia che, tutto sommato, forse è proprio la sua salvezza.
Gli do un nome immaginario a questo barbone e penso che a Mirko, tutto sommato, gli abbiamo rovinato una notte, mentre lui avrebbe il diritto di non farci dormire tutte le notti … se solo lo vedessimo!
Da un’altra parte, invece, la festa è sospesa, perché oltre a chi non riesce a dormire, c’è anche chi non è riuscito a vivere. E così, un intero quartiere si spegne e omaggia un ragazzo di 16 anni che se n’è andato prima del tempo, in sella al suo scooter, lo stesso che, forse, se qualche ora prima le cose fossero andate diversamente, lo avrebbe portato a sfilare per le strade della sua città.
L’amarezza della festa passa anche per un paese che si tinge di nero per la morte prematura di un giovane clinicamente compromesso, mentre un padre, a poca distanza, resta sull’asfalto, vittima di un incidente, mentre sta andando a prendere il figlio.
Il Festival di Cannes, allora, arriva a pennello e quest’anno ci insegna che basta “Un semplice incidente” per spostare l’attenzione su ciò che non si vede. Chest’è ‘a vita, la nostra vita, che suona come “vi lascio la pace, vi do la mia pace”, poiché, diversamente, non si potrebbe festeggiare e, quindi, non sarebbe tempo di resurrezione.